Legally Startup. Problematiche giuridico legali ricorrenti in tema di Startup.

Da un brillante spunto dell’amico Daniele Mazzini è nata l’idea di raccogliere su Italian Startup Scene alcune domande in tema di problematiche giuridico legali ricorrenti nelle fasi dello Startup. I temi sollevati sono estremamente interessanti: si va dalla replicabilità dello strumento delle stock options nelle SRL, all’appetibilità delle SRLS per uno startupper; dalla esterovestizione, alla convenienza di adottare società estere per il residente fiscalmente in Italia; dalla fattispecie del socio non conferente, all’analisi dei conferimenti effettuaibili nelle SRL; dal wayout alla clausole anti-diluizione.

Queste le nostre risposte.

D. Replicabilità dello strumento delle Stock Options nelle SRL.

R. Le stock options sono uno strumento tipico delle SPA. Nella Srl è possibile adottare soluzioni che producono risultati similari. Partendo dalle più complesse, si fa osservare come sia possibile attribuire in gestione fiduciaria alcune partecipazioni da distribuirsi al termine della gestione in ossequio alle pregresse pattuizioni stipulate tra fiduciante e fiduciario. Simile è l’ipotesi del trust su quota di partecipazione. Al termine della durata del trust il trustee avrà il potere di disporre, in ossequio a quanto pattuito, il trasferimento delle partecipazioni oggetto di trust. Una soluzione molto meno complessa e più lineare è quella della attribuzione di particolari diritti (art. 2468 c.c.) riguardanti la distribuzione degli utili a fronte della titolarità di quote minime (quote delle quali si è in possesso sin dalla fase costitutiva della società o che costituiscono oggetto di attribuzione a seguito di aumento del capitale sociale). Lo strumento dei particolari diritti consente, infatti, di tenere nella giusta considerazione le qualità personali del socio nell’entità dei diritti sociali da riconoscere, seppur collegati ad una partecipazione anche modesta. È possibile in particolare prevedere: il diritto di percepire una percentuale di utili superiore alla quota di partecipazione; la distribuzione degli utili in parti uguali nonostante la diversità delle quote di partecipazione; il diritto di percepire una somma superiore agli utili distribuiti; il riconoscimento di una quantità di utili determinata in valore assoluto, anche a prescindere dalla decisione di distribuzione; la priorità nella percezione dell’utile di esercizio (è escluso il concorso di tutti i soci nel riparto fino a che il dividendo di quelli privilegiati non abbia raggiunto un certo ammontare minimo).  Non bisogna dimenticare, infine, che è sempre possibile agire fuori dallo statuto per il tramite di patti parasociali (a mezzo dei quali gli aderenti possono stabilire una diversa distribuzione degli utili e delle perdite rispetto a quanto stabilito dall’atto costitutivo). Come ultima soluzione è prospettabile, infine, la creazione di incentivi che simulino l’oscillazione di un titolo.

 

D. Appetibili le SRLS per le Start up?

R. La Società a Responsabilità Limitata presenta profili di dubbia utilità per coloro che siano interessati ad iniziare attività d’impresa non microscopica.

I motivi sono vari.

Il risparmio nell’esborso economico per la costituzione è estremamente limitato e non compensa la rigidità strutturale della SRLS.

Con l’introduzione delle SRL a Capitale Ridotto (che replicano in modo speculare le SRLS), il limite dei 35 anni di età è stato elevato a discrimen per godere delle agevolazioni previste in fase di costituzione. L’azzeramento degli onorari del notaio e l’esenzione dal diritto di bollo riguarderà esclusivamente gli under 35 (dovranno essere corrisposti, invece, sia i diritti camerali, sia l’imposta di registro). Il Ministero della Giustizia fisserà l’importo massimo per il rimborso delle spese generali che il Notaio potrà chiedere nel caso in cui i soci abbiano età superiore ai 35 anni. Per gli over 35, inoltre, non si applica la predetta esenzione dall’imposta di bollo. Di contro resterebbero, invece, dovuti da tutti: il diritto annuale fisso di iscrizione alla CCIAA (200 euro), l’imposta di registro (168 euro), nonché (e si badi questi ultimi sono costi a regime) la tassa annuale per la numerazione e bollatura dei libri sociali (310 euro circa). Da un punto di vista prettamente pratico per gli over 35, rispetto alla costituzione di una SRL con capitale di 10.000 euro, il risparmio  potrebbe  aggirarsi intorno ai 300/400 euro mentre per gli under 35 potrebbe salire a 500/600 euro.

Per capire l’entità dei costi da sostenere per la costituzione di una Società a Responsabilità Limitata si consideri che l’atto costitutivo è soggetto a bollo (65 euro), diritti di segreteria (90 euro) e imposta di registro (168 euro), mentre l’iscrizione nel registro delle imprese implica il bollo (65 euro) e i diritti di segreteria (95 euro). L’operatività della società comporta poi  costi annuali legati alla bollatura dei libri e registri (309 euro), il diritto annuale all’iscrizione alla Camera di Commercio (200 euro) e le marche per i quattro libri di assemblea, Cda, inventari e giornale (56 euro). Il totale delle spese vive ammonta a più di 1000 euro, escluse le competenze di notaio.

Potrebbe replicarsi: il vantaggio sarebbe da ravvisarsi nella esiguità del capitale sociale richiesto (1 euro) che consentirebbe di impiegare la liquidità a vantaggio dell’attività di impresa! FALSO. Concretamente non cambia assolutamente nulla. Attualmente per costituire una SRL a capitale minimo è necessario un versamento di euro 2500 (1/4 del capitale sociale minimo richiesto) presso una banca. Tale importo viene restituito alla società ad avvenuta iscrizione nel registro imprese (circa 20 gg. dall’atto costitutivo) e sarà utilizzabile/utilizzato, ovviamente, per finalità operative. Inoltre i conferimenti di capitale sono nelle SRL “ordinarie” da sempre sostituibili con conferimenti in natura, know how, opera, ecc.
Poche elementari osservazioni permettono di chiarire come l’art. 2643 bis permetta oggi la costituzione di una società con capitale di 1 euro, ma con un risparmio effettivo di ZERO (rispetto a ciò che già prima era possibile fare). Ciò che incide, ed ha sempre inciso, sulla esistenza e proliferazione delle SRL e delle attività d’impresa condotte con tale forma societaria non sono tanto gli esborsi necessari alla costituzione, quanto quelli necessari alla gestione annuale (costi che rimangono sostanzialmente immutati). Rimangono in essere, in altri termini, tutti gli obblighi successivi alla costituzione (contabilità, assemblee, deposito bilancio) e tutte le imposte e tasse previste per le SRL ordinarie.

Visto che non sono certamente i 2500 euro iniziali (restituiti dopo 20 gg.) a frenare l’ardore imprenditoriale, se l’intento fosse davvero stato quello di favorire i giovani imprenditori e lo start up in genere si sarebbe dovuto intervenire sulla pletorica serie di adempimenti annuali o sulle imposte e tasse.

La possibilità di “impegnare” a titolo di capitale sociale somme simboliche azzera, poi, la possibilità di accedere al mercato del credito, se non per il tramite della prestazione di garanzie personali dei soci (cosa della quale già oggi si abusa nei confronti di società con buona capitalizzazione) che compongono la compagine sociale (con azzeramento, di fatto, del vantaggio della limitazione della responsabilità).

Non consentire la nomina di un amministratore terzo rispetto alla compagine sociale significa stroncare la possibilità di affidare la guida di inesperte realtà imprenditoriali a soggetti dotati di esperienza tale da consentire la crescita e prosperità della realtà societaria. Non bisogna dimenticare come accada sovente che giovani imprenditori abbiano idee validissime, ma inesperienza operativa (accentuata dalla asfissiante burocrazia italiana).

Tra le più importanti carenze della SRLS vi è, inoltre, la mancanza di modulabilità di atto costitutivo e statuto. Il Decreto Sviluppo ha chiarito come atto costitutivo e statuto debbano essere stipulati in aderenza al modello standard approvato dal Ministero della Giustizia su proposta del Consiglio Nazionale del Notariato con la conseguente nullità di ogni clausola modificativa o integrativa, sostituita di diritto dalla corrispondente previsione del modulo. Troppo spesso gli operatori del diritto fanno ricorso – nonostante la grande libertà concessa dal legislatore per le società “ordinarie” – a pacchetti “preconfezionati”, non plasmati sulle reali esigenze della compagine sociale (e ciò genera – a società ormai affermata – irrisolvibili conflitti e dispute che affollano le aule di giustizia per decenni, minando, alcune volte, il potenziale di crescita della stessa). Non avere più margini di movimento nel confezionamento dell’impalcatura societaria, perché imposta dal legislatore, non fa altro che peggiorare situazioni di tal fatta.

Chi fonda, oggi, start-up è generalmente intenzionato (o almeno aspira), come è notorio, a far ricorso al venture capital. Se già la SRL è uno strumento che – almeno teoricamente – poco si presta a ciò, le caratteristiche della SRLS la rendono ancor meno appetibile. I motivi che ci rendono scettici sulla bontà di tale strumento come base per un rilancio delle iniziative giovanili gravitavano intorno alla eccessiva rigidità dell’impianto strutturale della “tipologia” societaria di recente introduzione. Si prenda l’esempio di uno spin-off universitario: la SRLS non si candida a strumento societario ottimale perché i soci possono essere soltanto persone fisiche e l’Ateneo non può entrarci. La stessa osservazione può essere estesa a fondi o investitori istituzionali che vogliano sostenere l’iniziativa.
Da questo punto di vista sarebbe stata più opportuna, quantomeno, l’introduzione della fattispecie delle Società per Azioni Semplificate, se non proprio una semplificazione sistematica ed organica di tutte le tipologie societarie (quantomeno di quelle che consentono la limitazione della responsabilità). Opportuna sarebbe, poi, una riconsiderazione del sistema degli acconti di imposta o quantomeno la previsione di forme di tassazione agevolate. In molti stati europei, nelle fasi start-up, le imprese con forma societaria assimilabile alla SRL godono di una tassazione agevolata. In  Spagna, ad esempio, è prevista la riduzione della tassazione del 5% nei primi 90.000 euro di profitti. Riduzioni ancora più incisive sono previste in Inghilterra ed in Galles, con tassazione del 20% per utili fino a 300.000 sterline. Nulla di ciò è previsto per chi adotterà in Italia la SRLS. Anche il nuovo meccanismo di capitalizzazione obbligatoria, infatti, non sembra prevedere alcuna esenzione di tassazione degli utili. La riserva va infatti costituita  con “utili netti”, quindi con risultati al netto di Ires ed Irap.

 

D. Società estera di soggetto residente in Italia ed esterovestizione.

R. Il fenomeno della esterovestizione consiste nelle fittizia localizzazione della residenza fiscale di società ed enti commerciali all’estero, per sottrarsi all’Erario italiano e per poter, quindi, beneficiare di un regime fiscale più favorevole.

L’art. 73, comma 3, del Tuir, nel porre l’onere della prova a carico dell’Autorità fiscale, stabilisce che, ai fini delle imposte dirette, si considerano residenti le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo d’imposta, hanno nel territorio dello Stato, in alternativa:

a) la sede legale, la quale si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto;

b) la sede dell’amministrazione, vale a dire il luogo ove viene svolta l’attività di gestione, da desumere da dati concreti;

c) l’oggetto principale dell’attività. Per le società e gli enti residenti, l’oggetto esclusivo o principale dell’attività “è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata” (art. 73, comma 4, del Tuir); in mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale della società o dell’ente residente “è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato”.

Per contrastare manovre attuate al solo scopo di ottenere un livello di tassazione inferiore rispetto a quello previsto dal sistema tributario nazionale, il legislatore ha poi introdotto alcune disposizioni che prevedono l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, sollevando l’Amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede dell’amministrazione di società ed enti che presentano molteplici e significativi elementi di collegamento con il territorio dello Stato. In merito, l’art. 73, ai commi 5-bis, 5-ter, del D.P.R. n. 917/1986 dispone che, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, del codice civile, in società di capitali, società cooperative e società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato, nonché in enti pubblici e privati, nonché in trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali se, alternativamente:

1) tali soggetti sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, c.c., da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

2) tali soggetti sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o da altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza da consiglieri residenti in Italia.

Ai fini della verifica della sussistenza del requisito del controllo, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o del periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’art. 5, comma 5, del D.P.R. n. 917/1986.

Gli elementi di prova dell’ente verificatore

a) Elementi di prova formale.

Si tratta di atti di per sé idonei a dimostrare l’assenza di elementi comprovanti la presenza della società o dell’ente nel territorio estero, quali, a titolo meramente esemplificativo:

l’atto costitutivo e le regole sul funzionamento della società estera;

le delibere relative alle decisioni dei soci e degli organi di amministrazione (verbali delle assemblee dei soci, determinazioni dell’amministratore unico e delibere del consiglio di amministrazione);

l’articolazione del poteri degli amministratori e le deleghe interne;

la regolarità delle attività relative alla vita sociale;

la residenza in loco della maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione.

b) Elementi di prova sostanziale.

Si tratta di fatti e circostanze che comprovino l’assenza di autonomia giuridica, contrattuale, finanziaria e soprattutto funzionale delle sede legale estera rispetto al soggetto partecipante italiano, quali, a titolo meramente esemplificativo:

la gestione operativa effettuata sul posto;

l’assunzione di personale e le relative mansioni da questo svolte;

la disponibilità di locali ad uso civile o industriale e i relativi contratti di locazione;

il possesso di idonee autorizzazioni amministrative per l’esercizio delle attività concesse dalle autorità locali;

l’assoggettamento effettivo alle imposte estere;

i conti correnti bancari presso istituti di credito locali;

altri contratti ed utenze;

la documentazione attestante una certa costanza nello svolgimento dell’attività di gestione all’estero, quali fax, note operative, memorandum, pareri, copie di e-mail, corrispondenza commerciale.

La prova contraria a carico del contribuente

a) Elementi di prova dell’effettiva esistenza all’estero dell’Amministrazione.

Dovrebbero essere forniti gli elementi di fatto comprovanti che:

l’attività del consiglio di amministrazione e delle assemblee dei soci sono svolte con regolarità;

le riunioni del consiglio di amministrazione sono tenute presso la sede sociale;

vi è stata la partecipazione dei diversi consiglieri (es: biglietti di viaggio, prenotazioni alberghiere);

la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione è costituita da persone fisiche residenti in loco, effettivamente coinvolte nella gestione sociale, anche attraverso la realizzazione di studi, progetti e interventi operativi nell’ambito della società;

la gestione operativa è effettuata sul posto e le deleghe rilasciate a soggetti terzi residenti in Paesi diversi da quello ove è localizzata la sede della società hanno contenuti non troppo estesi e onnicomprensivi.

il regolare svolgimento delle riunioni del consiglio di amministrazione e delle assemblee dei soci, dei quali può essere fornita agevolmente l’evidenza delle riunioni tenute presso la sede sociale con la partecipazione dei diversi consiglieri.

b) Documentazione probante dell’effettivo svolgimento in loco della gestione operativa della società estera.

Sotto il profilo organizzativo e funzionale della società estera sarebbe opportuno predisporre adeguata documentazione probante quanto segue:

l’effettività degli insediamenti produttivi/commerciali all’estero e delle ragioni imprenditoriali sottese agli stessi;

la presenza di soci di minoranza della catena di controllo e l’esistenza di accordi parasociali;

il modello organizzativo e funzionale del gruppo d’impresa, del quale le società estere fanno parte, evidenziando la specializzazione delle stesse non solo dal punto di vista geografico, ma anche strategico ed economico rispetto alla capogruppo ed alle altre consociate;

la descrizione dei flussi informativi e contrattuali intercompany, dalla quale potrebbe desumersi l’indipendenza economica delle partecipate estere rispetto alla holding;

l’esistenza di sistemi di tesoreria centralizzata, rilevanti a dimostrare l’autonomia finanziaria delle società estere rispetto all’ente controllante.

 

D. Ha senso che una startup italiana con residenza fiscale in Italia incorpori una società estera per soli fini di flessibilità?

R. Premettendo che è assolutamente lecito per un cittadino italiano il ricorso a società estere se ciò non contrasta con norme imperative del nostro ordinamento (norme fiscali in primis), a mio avviso non ha alcun senso che una start up italiana con residenza fiscale in Italia guardi all’adozione di forme societarie estere se ciò cui si aspira è semplicemente maggior flessibilità. Il ricorso a strutture societarie non italiane deve essere frutto di una scelta ben ponderata, che sarebbe ampiamente giustificata ove, sin dalla fase iniziale della pianificazione della start up, ci sia l’intenzione (certezza) di uno spostamento completo del business nello stato di incorporazione della società.

La maggior flessibilità di società estere (LLC, Inc, Ltd) è solo potenziale ed è certamente non dissimile (se analizzata nel concreto) da quella riscontrabile nelle corrispondenti tipologie di società esistenti nel nostro ordinamento societario, il quale, in mani esperte, permette la più ampia possibilità di regolamentazione. Volendo essere puntigliosi e rimanendo sul mero campo di “potenzialità” giuridica (astraendosi volontariamente dalla questione costi e burocrazia dovuti alla non residenza nello stato estero di incorporazione) è possibile osservare come oggettivamente una private company di diritto inglese o irlandese  (in questa risposta prenderò a parametro di riferimento le Limited, ma il discorso è grossomodo replicabile anche riferendocisi a LLC ed Inc) possa essere considerata più allettante. Si rende però opportuno un distinguo. La permissività in tema di capitale e conferimenti, legata ad un procedimento costitutivo complessivamente più snello, nonché all’esenzione dall’obbligo di revisione contabile, prevista per le società che rientrano in specifici limiti dimensionali, costituisce indubbiamente un forte incentivo per chi volesse iniziare un’attività di impresa usufruendo del beneficio della responsabilità limitata, pur senza disporre di cospicue risorse da investire (organizzazioni aziendali con dimensione microscopica formate da un imprenditore o gestite su base familiare).
Un discorso certamente diverso deve essere fatto, invece, riferendocisi a coloro che intendano esercitare un attività che presupponga un’organizzazione aziendale di una qualche consistenza, o comunque con mezzi più rilevanti ed in linea con quelli da piccola impresa. A questo proposito si deve riconoscere che la disciplina della SRL italiana mostra una oggettiva flessibilità ed agilità.

Dal potenziale si passa al concreto aggiungendo all’analisi due fattori: costi e burocrazia relativa alla gestione del non residente di società estera.

Generalmente il ricorso a tipologie societarie proprie di ordinamenti giuridici diversi da quello italiano è giustificato dall’imprenditore con la necessità di ricercare un escamotage all’asfissiante (decrescente) peso della burocrazia italiana. Che il nostro Paese abbia bisogno di interventi volti ad una generica semplificazione è cosa ovvia. Affidarsi a società estere significa, tuttavia, non risolvere il problema “eccessiva burocrazia e poca flessibilità” ma aumentare lo stesso, nonché gli esborsi necessari alla costituzione ed alla gestione della società.

Costi.

Generalmente i costi di creazione di LLC, Inc e Limited sono più bassi, i tempi di costituzione sono più rapidi, non è previsto l’intervento del notaio, né in sede di costituzione, né in nessun altro momento della vita della società e più in generale la legislazione di common law è particolarmente flessibile. Questo, però, solo nel caso in cui si abbracci il “fai da te” e di conseguenza si decida di affrontarne i rischi.

In realtà sarebbe cosa auspicabile che ricorrere, per la costituzione e gestione di società estere, ad avvocati d’affari e commercialisti che sappiano assistere con cognizione nelle fasi di incorporazione e poi di gestione. Ciò al fine di limitare l’insorgenza di problematiche, generalmente di difficile soluzione postuma. Una assistenza di tal fatta si contraddistingue generalmente per onorari professionali certamente molto più alti di quelli applicati per costituzione e gestione di una società italiana.

Giusto per comprendere di che sborso economico stiamo parliamo prendo a riferimento il prezziario di SINGULANCE (lo studio legale nel quale dirigo il dipartimento di diritto societario e del commercio internazionale), il quale per la formazione e gestione di una UK Company è allineato alla fascia alta degli studi legali internazionali che offrono servizi del genere (prezzi in UK pounds) e ben rappresenta quindi il valore medio delle prestazioni in tale settore.

Formation of Uk Company

– Advice regarding choice of vehicle, company formation, preliminary remuneration strategy for the UK entity and taxation issues, advice on articles of association and company structure (1500)

– Constituting company

Limited liability company (300)

Public limited company (1000)

– Anti-money laundering due diligence (750)

– Registering the company for direct taxes and VAT (600)

– Assistance with establishing an UK bank account, coordinating with bank, presenting documents (1000)

– Assistance with procuring outside services providers, request for fee quotes and managing process (per type of service) (750)

– Collecting and presenting documents to suppliers (e.g., for car lease, telephone, etc.) (per request) (300)

– Preparation of standard UK employment contract, employment handbook and general employment law advice (1500)

– Other advice on employment matters, premises, etc (hourly rates)

– Advice regarding employee fringe benefits, e.g. stock options, review of company standard stock option policy, pension plans (4000)

– Transfer pricing checkup – on inter-company transactions, e.g. loan/management/consulting agreements, etc. (1750)

– Drafting inter-company agreements, such as loan agreements, management or consulting agreements, etc (per agreement) (2500)

– Registered Company Address (per annum) (1000)

– Review of inter-company agreements prepared by the client (per agreement) (1500)

 

Maintenance of UK Company (LTD) 

– Registered Company Address (per annum) (1000)

– Year End Accounts  – preparation and filing (3000)

– Corporation Tax Return (750)

– Payroll, managing annual leave and sickness (50 per month) (600)

– Annual payroll compliance (P60’s, P11D’s) (600)

– Bookeeping (monthly 300)  (3600)

– VAT compliance, quarterly returns (1,000 per quarter) (4000)

– Annual company secretarial, routing approval of accounts (1000)

– Annual audit (7500)

Gli oneri da sostenere per la costituzione di una SRL ammontano, invece, a 2000/2500 euro a titolo di onorari notarili e balzelli vari, ai quali sono da aggiungere tra le 500 e le 1000 euro di consulenza legale (non obbligatoria) e, nel caso in cui non siano previsti conferimenti diversi dal denaro, ulteriori euro 2500 da versare (il 25% di 10000 euro); somma quest’ultima che rientra nella disponibilità della società dopo venti giorni (e che potrà, quindi, essere utilizzata per la gestione della società). La gestione annuale di una SRL si aggira intorno ai 250 euro al mese (3000 euro annui).

Burocrazia.

Qui il discorso è molto complesso ed una analisi approfondita meriterebbe decine di pagine di trattazione. Mi limiterò, allora, a pochi esempi. Ogniqualvolta la società straniera è parte contrattuale sarebbe necessario che sia provata la legittimazione del legale rappresentare. Ciò avviene consegnando atto costitutivo, statuto con traduzione asseverata e certificati di iscrizione nei registri equivalenti al nostro Registro delle Imprese, nonché la eventuale delibera del CDA in estratto autentico munito di traduzione (il tutto generalmente Apostillato – tranne che per la documentazione delle Limited irlandesi – ed aggiornato a pochi giorni prima della negoziazione). Da ciò non si scappa ove la Società estera abbia rapporti negoziali con controparte italiana assistita da legali. Non si scappa altresì nei casi in cui sia necessario l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata. Un problema, poi, che riguarda generalmente le società estere è quello della apertura dei conti correnti bancari di appoggio (per i quali la procedura è rallentata, non è fluidissima e presuppone di regola che ci si presenti personalmente). Per quanto riguarda, poi, i Paesi non UE è nota la difficoltà nell’ottenere visti di lavoro nei casi in cui sia necessario lavorare in “sede”.

Le problematiche si complicano ancora prendendo ad esame l’apertura di una sede secondaria di società estera, la quale presuppone:

– L’assunzione della relativa delibera da parte dei competenti organi della società (delibera che sarà regolata integralmente dalla legge nazionale di questa);

– Deposito della delibera presso un notaio. La delibera redatta in lingua straniera dovrà essere accompagnata dalla traduzione in lingua italiana, redatta dal notaio, se questi conosce la lingua straniera, o da un perito nominato dalle parti. La delibera dovrà essere previamente legalizzata o munita di Apostille, se proviene dai Paesi che hanno aderito alla relativa Convenzione; salvo che provenga da un Paese, come l’Austria o l’Irlanda con il quale un accordo bilaterale abbia stabilito la dispensa dall’Apostille.

– Controllo di legalità da parte del notaio. Questo controllo dovrà in particolare verificare che la delibera e i patti della società interessata non contengano clausole contrarie all’ordine pubblico o contrastanti con le cd “norme di applicazione necessaria” (v. articoli 16 e 17 della l. 218/95. Dovrà pure verificare che non vengano violate disposizioni che disciplinano l’esercizio dell’impresa o la subordinano all’osservanza di particolari condizioni (art. 2506, 2° comma, c.c.). Il controllo di legittimità si concreterà nell’adeguamento della delibera alle norme italiane necessariamente applicabili.

– Registrazione dell’atto di deposito con la delibera allegata. L’atto sconta la tassa fissa. Normalmente gli allegati provenienti dall’estero scontano un’ulteriore tassa fissa di registro per ciascun allegato.

– Deposito presso il registro delle imprese. Va eseguito entro 45 giorni dalla data dell’atto. Vanno depositati:

il modello S1sottoscritto con firma semplice allegando fotocopia di un documento di identità in corso di validità del legale rappresentante o da uno dei rappresentanti stabili in Italia nel caso in cui si tratti di cittadino comunitario. Negli altri casi è necessaria l’autentica.

1 modello SE sottoscritto con firma non autenticata dal legale rappresentante o da uno dei rappresentanti stabili in Italia.

1 copia dell’atto di deposito con i suoi allegati.

L’atto di nomina del rappresentante in Italia, se contenuto in un documento separato.

1 certificato di vigenza della società, rilasciato dall’ente estero preposto alla tenuta del registro imprese con traduzione in lingua italiana eseguita da un perito iscritto presso il tribunale ed asseverata conforme con giuramento (o tale traduzione eseguita presso l’ambasciata italiana);

1 modello intercalare S contenente l’elenco dei soci ed altri titolari di diritti su azioni e quote sociali della società estera (in caso di società di capitali);

1 modello intercalare P per ciascuna delle persone che hanno la rappresentanza nella sede estera e degli eventuali rappresentanti in Italia.

Versamento di EURO 145 per diritti di segreteria se l’iscrizione viene effettuata utilizzando modelli cartacei; (EURO 119 se l’iscrizione viene effettuata utilizzando supporti informatici).

La prevalenza del principio della libertà di stabilimento non implica (Studio n. 01/07/25/5) “che la società straniera non operativa nel Paese di costituzione non sia soggetta, per l’esercizio delle attività della succursale aperta in altro Stato membro, a norme imperative di tale Stato applicabili alle società nazionali dello stesso tipo”. L’Art. 2508 (Società estere con sede secondaria nel territorio dello Stato) dispone inoltre che:Le società costituite all’estero, le quali stabiliscono nel territorio dello Stato una o più sedi secondarie con rappresentanza stabile, sono soggette, per ciascuna sede, alle disposizioni della legge italiana sulla pubblicità degli atti sociali (…)”. Di conseguenza ogni eventuale modifica dello statuto, se si volesse operare in modo serio, dovrebbe comunque essere assoggettata a pubblicità (e ciò presuppone che si segua la medesima trafila suesposta) con costi rilevanti.

Senza continuare con eccessivi tecnicismi giuridici, di difficile comprensione per coloro che non abbiano affinità con le problematiche in esame, più di qualunque esempio concretamente posto a sostegno di quella che è la mia opinione vale l’esperienza diretta dello startupper. Mi limito a dare risalto, allora, a quanto risposto da Max Ciociola (ex DADA e fondatore di MusiXmatch) in tema di burocrazia italiana in un intervista realizzata da Marco Montemagno. Risposta che condivido e che faccio mia: “il falso mito della burocrazia italiana: ci sono meno barriere rispetto al passato, non utilizziamo questi argomenti come una scusa”. Interessante è la comparazione di questa risposta con quella data ad una domanda affine, ma relativa al panorama USA, da Mike Kreiger (fondatore di Instagram) durante una lunga lezione tenutasi a Stanford:  “una start up non significa solo sviluppare un prodotto, ma un sacco di altre cose: tra assunzioni, tasse, finanziamenti, team building, sarete fortunati se il tempo dedicato allo sviluppo del prodotto arriverà al 50% del tempo dedicato”.

A conclusione di questa risposta non posso allora fare a meno di citare Dave McClure: non vi serve la Silicon Valley e non vi serve essere nella Silicon Valley, ma vi serve che quell’etica, quell’esperienza e quell’immaginazione siano dentro di voi, ovunque voi siate.

 

D. Un amico/parente (o un terzo in genere) può effettuare i conferimenti al posto del soggetto che diventa socio?

R. E’ assolutamente possibile. Il nostro diritto societario ammette i c.d. conferimenti non proporzionali (art. 2346.4, 2468). La non necessaria proporzionalità tra conferimento e partecipazione può legittimamente spingersi fino al punto di rendere non necessario il conferimento del socio che gioverà di quello effettuato da altro soggetto (non socio). Giuridicamente si ricade nelle fattispecie del socio non conferente e del conferente non socio, le quali hanno sollevato numerosi dubbi in dottrina e giurisprudenza ma che possono considerarsi, ormai, abbastanza pacifiche.

 

D. Cosa si può conferire in una SRL?

R. Se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in denaro. Nelle SRL è possibile conferire ogni elemento dell’attivo suscettibile di valutazione economica. Di fatto, quindi, le possibilità di conferimento sono infinite. È ammissibile il conferimento da parte dei soci di una prestazione d’opera o di servizi; prestazioni ad efficacia obbligatoria o differita, prestazioni condizionali, a termine; prestazioni di brevetti, marchi; know how; partecipazioni in altre società; diritti di garanzia; obbligo di comportamenti negativi (esempio: non concorrenza): tali tipi di conferimento in quanto diversi dal danaro dovranno essere previsti dall’atto costitutivo, almeno in modo generico.

 

D. Way Out, clausole di exit e definizione dei criteri a cui scatta la vendita.

R. Come noto l’investimento del Venture Capitalist è temporaneo ed è preordinato al conseguimento di capital gains conseguenti alla cessione della partecipazione. La durata media dell’investimento è di 5 anni. Tempistiche più brevi sono generalmente dovute ad un precoce successo della start up; a write off (fallimento, ecc.); a contrasto insanabile (tra le parti) che sfocia nel riacquisto da parte dei founders della quota detenuta dal venture capitalist.

Il way out deve generalmente potersi concretizzare al verificarsi di un determinato evento (triggering event), entro un certo periodo di tempo (time frame), ad un corrispettivo predeterminato che tenga conto di specifici parametri (EBITDA per un multiplo, market value o altro parametro specifico). Nelle fasi di disinvestimento non deve prevalere alcuna logica soggettiva nella valutazione della quota all’exit e le tempistiche devono riflettere le finalità dell’operazione (raggiungimento di risultati aziendali). Influenzano le strategie di exit i seguenti fattori: tipologia di intervento dell’operatore di Private Equity (expansion, buy-out, turnaround); quota di possesso del PE (maggioranza vs minoranza); obiettivi del socio di riferimento/imprenditore all’exit; remunerazione/incentivazione management durante periodo investimento; stadio di vita dell’azienda/obiettivi del piano industriale.

Il fatto che la società non sia quotata e che la partecipazione del VC sia di minoranza rende rischioso l’exit. Questo è il motivo per il quale il VC chiede ai founders di accettare un percorso precostituito e finalizzato alla quotazione o alla vendita a terzi del 100% della società (trade sale) garantito da opportuni automatismi esecutivi, non ostacolabili, né rallentabili strumentalmente da parte dell’imprenditore/management, facendo assumere agli stessi l’obbligo di non cedere la propria partecipazione (lock up) al di fuori dell’IPO o del trade sale e l’obbligo di impegno esclusivo dell’imprenditore/management a prestare la propria attività a favore della società (ciò in virtù del fatto che la decisione di investire  in una certa impresa è spesso basata in maniera preponderante sulle capacità tecniche e di gestione dei founders).

In altri termini, il way out coincide generalmente con la quotazione in borsa (listing); la cessione a terzi (trade sale), la quale può includere clausole di co-vendita e trascinamento; la cessione agli altri soci (buy back), la quale può includere prelazione, put/call options.

Prima di enunciare le principali clausole che regolamentano la dismissione delle partecipazioni è opportuno chiarire come non debba trarre in inganno il fatto che clausole che producono i medesimi effetti assumo spesso denominazioni anche molto diverse: piggy-back, tag along, drag along, go along, bring along, forcealong provisions, right of co-sale.

Clausole di Listing. La disciplina dell’accesso ad un mercato regolamentato è generalmente oggetto di accordi e negoziazioni tra il partner investitore (e socio di minoranza) e gli altri azionisti della società partecipata. Attraverso tali accordi, il socio di minoranza si assicura la way out obbligando gli altri soci ad accettare che la sua partecipazione sia oggetto di cessione sul mercato in via preferenziale rispetto a quella degli altri soci nel caso di IPO (Initial Public Offering). Generalmente le clausole di listing hanno il seguente tenore letterale: “The Shareholders undertake to make their best efforts in order to have the Company listed in one or more regulated markets to be decided, within twenty four (24) months elapsing as of the Closing Date. The Shareholders acknowledge that the Global Offering may include an offer for the sale of the Shareholdings owned by the Shareholders, and that the Investors: shall have first the right to sell up to a maximum of the 40%, of their Shareholdings in the Company; will sell their Shareholdings solely in the institutional offering; will not be bound to grant any representation and warranty regarding the Company and/or their sold Shareholdings; and will not be bound to agree on any restriction to the sale of its Shareholdings, save for the applicable restrictions as manadatorily set forth by the law regulating the market on which the Company is listed”.

Clausole di prelazione. Con le clausole di prelazione si obbliga il socio che intenda cedere la propria partecipazione a terzi ad offrire la stessa preventivamente agli altri soci, i quali avranno il diritto di acquistarla alle medesime condizioni offerte dal terzo. Clausole di tal fatta proteggono l’interesse dei soci a non avere terzi non desiderati nella compagine sociale e sono così formulate: “Il socio che intenda alienare in tutto o in parte, le sue azioni ne dà comunicazione per lettera raccomandata (indicando il nominativo e l’indirizzo o sede dell’acquirente, il numero delle azioni alienande, il loro prezzo e le condizioni di pagamento) agli altri soci entro 15 (quindici) giorni per lettera raccomandata. Le azioni si intendono offerte in prelazione agli altri soci, al medesimo prezzo e condizioni”.

Tag along (diritto di inseguimento o di co-vendita). Con le clausole di tag along si stabilisce che, ove un socio intenda cedere, in tutto o in parte, la propria partecipazione a terzi, gli altri soci potranno richiedere che il socio cedente procuri l’acquisto da parte del terzo anche della loro partecipazione. Tipicamente questo diritto viene acquisito solo dal venture capitalist a tutela del proprio investimento di minoranza. Generalmente si tratta di formule del seguente tenore letterale: “In the event that a quotaholder (“Offering Holder”) intends to dispose, in whole or in part, of its quota holdings (the “Offered Quota”), to any third party, such Offering Holder, within ten (10) business days from the expiry of the term provided for by under Section 3.2(d) (“Tag Along Period”), shall give XY a written notice thereof (the “Tag Along Notice”), disclosing the terms and conditions of the proposed disposal (including the transfer price and the identity of the third party (the “Proposed Transferee”). XY shall have ten (10) business days from the expiry of the Tag Along Period to notify the Offering Holder in writing of XY’s intention to exercise this tag along right (the “Tag Along Demand”), which exercise shall be irrevocable. If XY delivers a Tag Along Demand, XY shall have the right to transfer to the Proposed Transferee identified in the Tag Along Notice, XY’s quota holdings at a price and under terms identical to the Offering Holder and in all cases no less favorable than identified in the Tag Along Notice.”

Drag along (diritto di trascinamento). In virtù della clausola di drag along qualora il venture capitalist riceva da un terzo un’offerta per il 100% della società o per una partecipazione comunque superiore a quello dallo stesso detenuta, gli altri soci, se richiesto dal venture capitalist, saranno tenuti a trasferire a tale terzo l’intera partecipazione o parte di essa, qualora l’offerta del terzo non sia per la totalità delle partecipazioni della società. Si tratta di clausole del seguente tenore: “Qualora Tizio intenda trasferire, in tutto o in parte, a terzi le proprie azioni, potrà richiedere a Caio che Caio offra in vendita al terzo anche le azioni di sua proprietà alle medesime condizioni proposte dal terzo per l’acquisto delle azioni di Tizio. In tale ipotesi, Caio sarà tenuta a cedere al terzo o a Tizio la propria partecipazione alle medesime condizioni proposte dal terzo per l’acquisto delle azioni di Tizio”.

Nel caso, infine, di cessione della partecipazione non a terzi, ma a soci è possibile prevedere diritti d’opzione.

Le Opzioni di Vendita o PUT attribuiscono il diritto a vendere a un soggetto determinato la propria partecipazione nell’impresa, a condizioni prefissate, ad una certa data oppure al verificarsi di determinati eventi. Sono del seguente tenore letterale: “Tizio avrà il diritto irrevocabile di vendere tutte, ma non una parte di, le Azioni Soggette ad Opzione a Caio, che sarà tenuta, corrispondentemente, ad acquistare da Tizio dette Azioni”

Le Opzioni di Acquisto o CALL attribuiscono, invece, il diritto ad acquistare da un soggetto determinato la partecipazione nell’impresa da quest’ultimo detenuta, a condizioni prefissate, ad una certa data oppure al verificarsi di determinati eventi. Sono del seguente tenore letterale: “Tizio avrà il diritto irrevocabile di acquistare tutte, ma non una parte di, le Azioni di proprietà di Caio, la quale sarà tenuta, corrispondentemente, a vendere ad Tizio dette Azioni”.

In caso di inserimento di una sola delle due clausole (es. previsione di una sola opzione CALL a favore dell’Imprenditore) dev’essere adeguatamente bilanciata nella complessiva strategia di exit. Si noti, infine, che il patto parasociale che prevede un’opzione put su azioni a prezzo prestabilito, pari a tutto quanto pagato o conferito dal socio in favore del quale l’opzione è disposta, esclude lo stesso dalla possibilità di partecipare alle perdite, con conseguente nullità per contrasto con il divieto del patto leonino di cui all’art. 2265 c.c.

 

D. Clausole volte a limitare la diluizione delle quote.

R. Al fine di comprendere le diverse tipologie di clausole anti diluzione è estremamente importante che si esamini la tipologia di diluizione da limitare. Sono essenzialmente riscontrabili:

a)    diluzione nominale nella partecipazione (una diminuzione della percentuale di partecipazione posseduta dall’investitore);

b)   diluzione economica (diminuzione del valore economico dell’investimento).

La prima si avrà essenzialmente nel caso in cui si emettano nuove azioni (o titoli convertibili in azioni). In ipotesi di tal fatta non si è soliti ricorrere a clausole anti diluzione (salvo che alla diluzione nominale non corrisponda una diluzione economica), non avendo la diluizione della partecipazione relazione diretta con il valore della partecipazione (nulla subisce modifiche se il nuovo investitore corrisponde il fair value).

La misurazione del decremento  del valore dell’investimento presuppone che si distingua tra: diluzione rispetto all’investimento iniziale  e diluzione rispetto al valore attuale. Se un nuovo investitore paga per il medesimo pacchetto azionario un prezzo inferiore rispetto a quello pagato dal primo investitore per il medesimo quantitativo di azioni è palese come il primo investitore soffra un decremento del valore iniziale dell’investimento. Nel caso in cui il secondo investitore, pur pagando un prezzo superiore a quello pagato dal primo investitore, corrisponda un prezzo inferiore al valore attuale dell’investimento è evidente come pur non soffrendo di diluzione economica rispetto al secondo, soffra comunque di diluzione rispetto al valore corrente dell’investimento.

Le clausole anti diluzione sono quelle che si prefiggono la protezione dell’investitore, qualora si dovesse fare un round d’investimento con emissione di azioni ad un prezzo minore di quello pagato all’ingresso in società. Per esempio: l’investitore entrato nel corso del primo round ha pagato le azioni 10 euro; il round successivo prevede, però, una valutazione delle azioni di 5 euro. In questo caso l’investitore ha diritto a ricevere gratuitamente o a prezzo scontato tante azioni quante ne avrebbe dovute ricevere se il prezzo delle azioni fosse rimasto lo stesso. È palese come in tal caso l’investitore non subirà l’effetto prezzo nella diminuzione delle sue quote. Ovviamente si tratta di un qualcosa che ha un impatto estremamente importante sulle quote detenute dai soci fondatori che non beneficiano di questa protezione.

Le clausole anti diluizione sono di due tipologie e sono relazionale al “prezzo di conversione” o al “prezzo di mercato”.

Il prezzo di conversione è il quantum dovuto per azione al momento della conversione del titolo convertibile. L’emissione di nuove azioni a prezzi inferiori a quelli di conversione importa diluzione. Le clausole anti dilatorie che influiscono sul prezzo di conversione prevedono che la conversione avvenga per ammontare prefissato e che, comunque, variazioni del prezzo importino una variazione del numero di azioni che tenga conto di ciò. Incidono sul prezzo di conversione le clausole Full Ratchet Provisions  (clausole anti diluzione di piena protezione) e quelle Weighted Average Provisions (clausole anti dilazione bilanciata).

La prima prevede che il socio protetto riceva, al momento del nuovo aumento di capitale,  nuove azioni di numero variabile in funzione del mantenimento della stabilità del “peso” della partecipazione. L’iniquità di clausole del genere è abbastanza evidente ed emerge con chiarezza prendendo in considerazione la potenziale diluzione dei soci fondatori (o comunque non VC) e osservando come non si tenga conto del valore monetario dell’operazione che costituisce il  motivo principale dell’operazione. Da non tralasciare, poi, il fatto che tendono a trasferire i costi di qualsiasi diminuzione nel valore dell’impresa ai soci non protetti. È vero, tuttavia, che è ben possibile prevedere meccanismi che temperino la rigidità delle stesse (limite temporale al trascorrere del quale le FRP si trasformano in WAP; previsione di limiti minimi del prezzo delle azioni o massimi nella percentuale di partecipazione al capitale sociale; negoziazione di clausole pay to play). Da un punto prettamente pratico si segnala come, al momento, molti VC abbiano preferito non fare pieno ricorso alla Full Right Provisions (anche in down round) per scongiurare potenziali effetti disastrosi sulla società e sul management. Per avere idea di come operi concretamente una FRP si consideri l’esempio seguente. Il socio Tizio investe al tempo zero 10 Milioni di euro in azioni del valore nominale di 10 euro, ricevendo 1 milioni di azioni. Successivamente (tempo uno) un nuovo investitore di nome Caio decide di investire ma valuta le azioni 5 euro. A questo punto Tizio avrà diritto a ricevere azioni a titolo gratuito tale per cui il valore della sua partecipazione non diminuisca. Per questo, dopo l’aumento di capitale, Tizio riceverà 1 Milioni di azioni, arrivando a detenere 2 milioni di azioni al valore nominale di 5 euro. La sua valutazione corrisponderà pertanto agli stessi 10 milioni di euro del primo investimento.

Le clausole Weighted Average considerano, invece, il proporzionale peso del prezzo di sottoscrizione in ipotesi di down round ed il prezzo di sottoscrizione pagato in momenti antecedenti. In base alla tipologia di bilanciamento il prezzo di conversione è ridotto al prezzo bilanciato per azione sia prima che al momento della diluzione (considerando le azioni emissione prima dell’evento dilutivo come se fossero emesse al prezzo di conversione precedente).

Per calcolare il prezzo medio bilanciato è possibile fare riferimento alla formula seguente:

(P1Q1+P2Q2)/(Q1+Q2)

Dove: P1 sta per prezzo di sottoscrizione del precedente round di finanziamento; P2 sta per prezzo di sottoscrizione del nuovo round di finanziamento; Q1 sta per “opzione su base ampia” (numero di azioni emesse precedentemente al primo round di finanziamento) o per “opzione su base ristretta” (numero di azioni emesse in ragione del primo investimento); Q2 sta per numero di azioni emesse nel secondo round di finanziamento.

L’antidiluizione Weighted Average Ratchet può essere ulteriormente distinta in:

a) Broad based, se tra le azioni vecchie si considerano non solo quelle ordinarie ma anche quelle convertibili, privilegiate, warrant, opzioni, ecc;

b) Narrow based, se si considerano solo le azioni ordinarie.

Il prezzo di mercato prende in considerazione (a differenza di quello di conversione) aggiustamenti nei casi di vendita di azioni ordinarie a prezzi inferiori a quelli attualizzati di mercato. È opportuno distinguere tra le clausole relative al prezzo di emissione e quelle che prendono in considerazione l’aggiustamento del prezzo in ragione della vendita delle azioni da parte della società emittente, quando tale vendita sia rivolta agli azionisti ordinari ad un prezzo inferiore a quello di mercato senza che si tenga conto del prezzo di emissione. Le clausole relative al prezzo di mercato proteggono dalla diluzione economica presupponendo che i titolari soffrano un danno qualora si emettano nuove azioni ad un prezzo inferiore a quello di mercato attualizzato e non soffrano, invece, danni dall’emissione di ulteriori azioni al prezzo di mercato (anche se inferiore a quello di conversione).

Massimiliano Caruso

 contactus@singulance.com


 

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