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Tratto da "L'impresa globale. Internazionalizzazione e mercati internazionali: il diritto degli affari e del commercio nel mondo."

Il contenuto del contratto internazionale.

Nel predisporre il testo contrattuale la prima scelta da compiere riguarda la legge applicabile (o, nel caso di depeçage, le leggi applicabili), la quale influenzerà nel concreto l’architettura contrattuale disegnata dal giurista. Allo scopo di evitare la stesura di clausole contrattuali potenzialmente in grado di condurre all’annullabilità (o peggio alla nullità) del contratto stesso, in quanto contrastanti con norme non pattiziamente derogabili, è opportuno individuare, scelta la legge applicabile al contratto, le norme imperative che la connotano. In assenza di pactum de lege utenda, la proper law sarà conseguenza dell’applicazione di convenzioni internazionali, come ad esempio la Convenzione di Roma, con la quale alcuni Paesi appartenenti all’Unione Europea hanno reso uniformi i criteri di scelta della legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (nei casi in cui è applicabile), o del ricorso alle discipline di diritto internazionale privato.

Il secondo nodo da sciogliere riguarda la scelta della lingua da adottare nella stesura del testo contrattuale. Il contratto internazionale, infatti, può essere redatto nelle due o più lingue delle parti o in un’unica lingua, quella della parte commerciale più forte o quella conosciuta da tutti i contraenti (di regola, l’inglese). È frequente, quindi, che possano sorgere divergenze di carattere interpretativo, anche estreme. Nell’ordinamento italiano l’interpretazione del testo contrattuale mira a determinare il significato giuridicamente rilevante da attribuire alla dichiarazione negoziale, perseguendo la ricerca dell’efficacia del contratto. La disciplina anglosassone non è dissimile, almeno in linea generale. Il principio della parol evidence rule (speculare alla regola latina in claris non fit interpretatio) impone al giudice di non interpretare il contratto ove dallo stesso emerga chiaramente la volontà delle parti.

Nel contratto internazionale, gli obiettivi cui le parti tendono, trovano posto principalmente nelle premesse, nelle clausole di definizione dell’oggetto e negli allegati. Le premesse svolgono diverse funzioni: agevolano l’interpretazione del contratto, puntualizzano le circostanze che inducono le parti a concluderlo, riepilogano le fasi della trattativa, fanno riferimento ad atti precontrattuali e contratti precedenti e connessi a quello in corso. Al fine di evitare incertezze interpretative è usuale prevedere in modo esplicito l’equiparazione delle premesse alle altre clausole contrattuali, facendole divenire parte integrante del contratto stesso. La clausola di definizione dell’oggetto – generalmente preceduta dalle definitions, ossia da una sorta di glossario dei termini utilizzati nel corpo del contratto – circoscrive le prestazioni caratteristiche delle parti (è opportuno che il tutto non si traduca in mere formulazioni standard). Gli allegati contengono le informazioni tecniche ed economiche che arricchiscono il quadro contrattuale e meglio definiscono gli elementi necessari alla corretta esecuzione degli obblighi previsti dal contratto.

Precisati gli obiettivi, è opportuno delineare l’impegno di ciascun contraente nel perseguirli, specificando l’eventuale coinvolgimento di soggetti terzi e l’influenza esercitata dalle parti sugli stessi. Seguirà la descrizione delle modalità esecutive del rapporto contrattuale. A tal fine, primaria importanza hanno, e non potrebbe essere diversamente, le clausole che disegnano compiti ed obbligazioni delle parti. È opportuno che la formulazione di tali clausole sia ancorata in modo reale alle condizioni economiche e tecniche dello specifico rapporto contrattuale e che siano previsti meccanismi di auto calibrazione del contratto che permettano di mantenere l’equilibrio tra le prestazioni contrattuali qualora una di esse divenisse eccessivamente onerosa.

In tema di esecuzione si è soliti adottare strumenti di garanzia autonomi (prestati da soggetti terzi, quali banche o assicurazioni), ossia sganciati dal contratto principale e finalizzati ad assicurare l’adempimento delle obbligazioni contrattuali e, quindi, l’escussione del garante senza la necessità di dimostrare l’inadempimento contrattuale. Lo svantaggio di strumenti di tal fatta è insito nella (non rara) possibilità di escussione abusiva della garanzia (agevolata dalla non necessità di provare l’inadempimento). Estremamente diffusi, quanto meno nei contratti d’appalto internazionale, sono i bid bonds: garanzie alternative al deposito cauzionale, spesso utilizzate quale indice di serietà e solvibilità dell’appaltatore. I performance bonds, rilasciati a favore del committente, garantiscono, invece, la buona esecuzione di quanto dedotto in contratto. Gli advance payment bonds sono consigliabili, infine, nel caso di pagamenti anticipati rispetto all’esecuzione della prestazione, agevolando la restituzione degli anticipi in caso di mancato adempimento. I bonds, a prescindere dalla segnalata finalità caratteristica, presuppongono sempre il buon fine dell’operazione mediante l’intervento di una figura istituzionale, quale una banca, che si impegna irrevocabilmente ad eseguire una prestazione finanziaria a prima richiesta, qualora un terzo non assolva una determinata obbligazione e sempreché siano state adempiute le condizioni contenute nel testo della garanzia.

Nei contratti internazionali sono frequentemente inserite clausole di hardship e force majeure. La prima si basa su circostanze che rendono la prestazione economicamente non conveniente, ma comunque eseguibile. In tal caso la parte a danno della quale si è verificato l’evento imprevedibile è legittimata a chiedere una modifica delle condizioni contrattuali. La clausola di force majeure riguarda, invece, eventi imprevedibili che rendono la prestazione impossibile da eseguire. Legata ad avvenimenti imprevedibili è anche la clausola di revisione dei prezzi, la quale può prendere in considerazione anche ipotesi di variazione dei costi che vanno ad incidere su beni e servizi. Una menzione particolare meritano le clausole penali (espressione adottata in una accezione ampia, sebbene vari ordinamenti adoperino una terminologia differente a seconda che si propenda per una funzione risarcitoria o punitiva della clausola), le quali predefiniscono la liquidazione forfettaria del danno derivante da inadempimento o da ritardo nell’adempimento. La clausola penale persegue, come noto, tre finalità: (i) predetermina il danno, in modo da evitare alla parte lesa la dimostrazione dell’entità del pregiudizio (funzione indennitaria); (ii) induce all’adempimento, attraverso la minaccia della pena pecuniaria (funzione deterrente/sanzionatoria); (iii) limita il risarcimento danni alla prestazione promessa (funzione risarcitoria). In linea di massima, la funzione indennitaria, a differenza di quella deterrente/sanzionatoria, non ha mai suscitato dubbi di ammissibilità. Volgendo lo sguardo ai Paesi di common law, si fa osservare come i liquidates damages (volti a predeterminare il danno) siano ritenuti assolutamente legittimi, al contrario delle penalties (il cui scopo è assicurare l’adempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto), ritenute nulle. Peraltro, non è raro imbattersi in clausole che, sebbene titolate liquidated damages, sono di fatto qualificabili quali penalties (e viceversa). In un quadro del genere, ove il contratto sia sottoposto alla legge di un ordinamento di common law, è consigliabile non utilizzare la terminologia penalty e strutturare la clausola in modo da rendere ragionevole l’ammontare della penale, così evitando che possa essere considerata coartare la volontà del contraente per indurlo all’adempimento. Situazione diversa negli ordinamenti di civil law, nei quali la funzione punitiva non è posta in discussione, seppur temperata dalla riducibilità giudiziale nel caso di penale eccessiva. Le parti, peraltro, non possono derogare contrattualmente alla riducibilità (trattandosi di norme, spesso, imperative), se non scegliendo quale legge applicabile quella di un ordinamento che non prevede la riduzione. La funzione risarcitoria (limitare il risarcimento danni) è generalmente considerata una normale conseguenza dell’apposizione della clausola. Il creditore, pertanto, potrà far valere il maggior danno solo in presenza di apposita clausola abilitativa. Alcuni Stati (tra i quali Germania e Svizzera), tuttavia, ammettono la risarcibilità del danno concretamente prodotto (e, quindi, del maggior danno) anche in assenza di apposita previsione. Nella grande maggioranza degli ordinamenti nazionali le norme in tema di clausole penali sono da raccordarsi con quelle relative alla limitazione della responsabilità per dolo o colpa grave. In tal caso, avuto riguardo alle norme del diritto statale che disciplinerà il contratto, sarà opportuno, onde evitare una probabile nullità, limitare il solo danno risarcibile scaturente da colpa lieve.

La scelta del foro competente è un passo quantomeno importante, poiché utilizzabile per controbilanciare la scelta della legge eventualmente operata dalla controparte, se non addirittura fondamentale, quando le parti non hanno scelto la legge regolatrice del contratto. In quasi tutti i Paesi le parti possono scegliere liberamente non solo la legge applicabile al contratto, ma anche il foro competente. Bisogna prestare attenzione, tuttavia, al fenomeno del forum shopping che consente alle parti di una controversia di poter incardinare il relativo giudizio innanzi a una delle diverse corti astrattamente competenti a conoscere la materia. È evidente come la possibilità di forum shopping abbia risvolti positivi o negativi a seconda del soggetto che nel concreto ne subirà l’esercizio. Nel diritto statunitense è previsto l’istituto del forum non conveniens, il quale legittima il giudice a dichiararsi incompetente ove il convenuto riesca a provare che la controversia può essere decisa da un altro giudice, in una diversa giurisdizione, in modo più opportuno.

Se di grande importanza sono la scelta della legge e quella del foro, non da meno è quella relativa allo strumento con cui andranno risolte le eventuali controversie: giudizio ordinario o arbitrato internazionale. A favore dell’arbitrato internazionale vanno: la generale lentezza dei giudizi ordinari; la confidentiality non solo del procedimento, ma anche del lodo (il quale potrà essere pubblicato solo previo consenso delle parti); la maggiore attitudine degli arbitri a dirimere controversie internazionali. Nell’optare tra le due occorre analizzare preliminarmente, inoltre, l’efficacia che può avere la sentenza nello Stato della controparte. Due Stati (quello della parte nei cui confronti la sentenza deve essere eseguita e quello del giudice che l’ha emanata), infatti, possono aver sottoscritto un trattato finalizzato al reciproco riconoscimento delle sentenze: in tal caso l’efficacia della sentenza non porrà alcuna difficoltà. L’Italia da questo punto di vista è carente, non essendo stati sottoscritti trattati del tipo sopra descritto, se non con pochissimi Paesi (Svizzera, Norvegia, Argentina, Brasile, Egitto e Turchia su tutti). Il riconoscimento internazionale delle le sentenze dei giudici italiani, pertanto, è scarso (in ambito comunitario il problema è superato dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 sul riconoscimento delle sentenze commerciali). Nella scelta tra giudizio ordinario o arbitrato internazionale può assumere rilevanza, infine, il fatto che le parti abbiano indicato quale legge applicabile al rapporto quella di un Paese terzo: in tal caso sarà conveniente scegliere, quale mezzo per la soluzione dei contenziosi, l’arbitrato. L’opportunità di tale scelta risiede nel fatto che, con l’arbitrato, la cui sede verrà fissata dalle parti nello Stato dell’ordinamento applicabile, si eviterà l’applicazione delle norme eventualmente più rigide in vigore in quel Paese.

Massimiliano Caruso

 contactus@singulance.com

Estratto da L’impresa globale. Internazionalizzazione e mercati internazionali: il diritto degli affari e del commercio nel mondo.

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