[Disciplina di riferimento]

(i) DL 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla Legge 221 del 17 dicembre 2012;

(ii) aggiornato con le variazioni apportate dal DL 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla Legge 9 agosto del 2013, n. 99;

(iii) integrato con le indicazioni interpretative introdotte dalle circolari 16/E dell’11 giugno 2014 dell’Agenzia delle Entrate e 3672/C del 29 agosto 2014 del Ministero dello Sviluppo economico;

(iv) aggiornato con le variazioni apportate dal DL 24 gennaio 2015, n. 3 (cd. investment compact).

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La legge 15 dicembre 2014, n. 186, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 17 dicembre 2014 (di seguito legge), recante “Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché del potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio”, risponde alla necessità di promuovere, attraverso l’adozione di una procedura straordinaria, la collaborazione volontaria del contribuente per consentirgli di riparare alle infedeltà dichiarative passate e porre le basi per un futuro rapporto col Fisco basato sulla reciproca fiducia. In tale senso, infatti, la procedura delineata dalla legge, coerentemente con le linee tracciate dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), non è solo finalizzata a fornire al contribuente uno strumento che gli consenta di definire la propria posizione fiscale pregressa ma, escludendo l’anonimato ed essendo informata ai princìpi della spontaneità, della completezza e della veridicità, contiene misure effettivamente strumentali alla futura compliance da parte di coloro ai quali è destinata.

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Quando affidarsi ad un avvocato. Molti giovani imprenditori intenzionati ad avviare attività d’impresa mi chiedono qual è il momento migliore per affidarsi ad un avvocato. La risposta più ovvia e semplice è quella di paragonare l’avvocato al medico. Le persone – soprattutto di giovane età – hanno timore dei medici e della medicina in generale; tendono, pertanto, a respingere la possibilità di approfondire il proprio stato di salute. In realtà timori, paure, superficialità dovrebbero essere superati dalla saggezza. In entrambi i casi affidasi anticipatamente può essere doloroso e mediamente costoso, ma posticipare eccessivamente può essere mortale.

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Una delle più difficili convinzioni da vincere in tema di proprietà intellettuale è quella che il software non sia brevettabile.

A ben vedere, anche se può sembrare il contrario, le normative italiana ed europea (art. 52 EPC e 45 CPI) non escludono a priori la brevettabilità del software. E’ opportuno, infatti, scindere il software “as such”, non brevettabile, da quello “non as such”, il quale presentando carattere tecnico è certamente brevettabile. Il carattere tecnico, peraltro, non è garantito dal fatto che il software sia in grado di “dirigere” un hardware. E’ necessario, invece, che il software sia dotato di “further technical effect”, ossia di un effetto tecnico ulteriore: (i) esterno al computer sul quale è in esecuzione il software (si pensi ai programmi di controllo di processi/apparecchiature); (ii) proprio del software (si pensi ad un motore di ricerca). Ove, in altri termini, si vada al di là della normale interazione softwarehardware non può essere esclusa la brevettabilità del software.

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Nel prossimo decennio la lifescience diventerà uno dei settori portanti dell’industria. Il progresso tecnologico ivi correlato porterà a risultati strabilianti.

L’Italia solo di recente (nel 2010) ha introdotto una disciplina ad hoc in tema di brevettabilità delle biotecnologie.

L’invenzione è biotecnologica quando riferibile a tecniche che utilizzano organismi viventi, o loro parti, per realizzare o modificare prodotti, ovvero migliorare o modificare alcune, o tutte, le caratteristiche di piante o animali, per sviluppare microrganismi o organismi destinati ad usi specifici.

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